Come migliorare la meccanica della E.626 Tibidabo

 

All’uscita della E.626 di Mario Malinverno, spinto dall’onda emotiva generata dal suo modello, decisi di apportare dei miglioramenti nella funzionalità al modello Tibidabo, che rimane, comunque, un modello storico.

Ho quindi deciso di mettere in atto alcuni accorgimenti che lo hanno reso ben funzionante, con un’ottima trazione e una buona presa di corrente, tutte doti che, così com’era nella forma originale, non aveva. Inoltre io possedevo una delle prime versioni, con una motorizzazione e un funzionamento davvero disastroso. Ma vediamo insieme come si può operare per elaborare questo bel modello che tutti possiedono e che sono sicuro, vorrebbero veder marciare in maniera dignitosa.

Seguendo questo articolo, sono sicuro, ci riuscirete.

La prima cosa che volevo migliorare assolutamente era la captazione della corrente.

Ho così usato dei tubicini di rame annegati nei carrelli di estremità per far captare una polarità per carrello.

Mi spiego meglio: gli assi isolati solo da un lato captano sul primo carrello una polarità e sul secondo, l’altra. Il carrello centrale, quello originale Tibidabo, essendo metallico, capta una polarità che è a massa, mentre le due ruote isolate della parte opposta le ho dotate di linguette sottili che si occupano di prendere corrente.

Abbiamo quindi una situazione elettrica definita asimmetrica.

Successivamente ho unito elettricamente i due tubicini di ogni carrello con un sottile filo elettrico rigido, saldato.

Questo filo andrà saldato anche nell’occhiello che si vede nella foto.

La molla che si vede in primo piano, si occupa di trasmettere la polarità alla massa metallica del carrello centrale.

Come dicevo, sul carrello centrale ho creato dei piccoli basamenti di plastica sui quali ho montato delle linguettine sottili metalliche (recuperati tra le parti di vecchi videoregistratori), come si vede chiaramente nella foto.

Ovviamente le due linguettine in questione verranno elettricamente unite al filo dell’altro carrello, andando al motore.

Successivamente, mi sono preoccupato di zavorrare adeguatamente i due carrelli con dei rettangolini di piombo, o stagno come si vede nella foto seguente.

Così saranno più stabili e, pesando di più, capteranno meglio la corrente. Inutile dire credo, che anche la scorrevolezza degli assi, nei due carrelli di estremità, migliora tantissimo e, cosa non da poco, consente di non affaticare troppo il motore, come succede con le linguette che pressano, anche se minimamente, sulle ruote.

La fase successiva consiste nel ritagliare da una striscia di lamina di ottone di 0,50/0,75, tracciandone i contorni con la cassa e eliminando poi l’eccesso con la lima, di quella che sarà la base che appesantirà leggermente il locomotore e che consentirà di saldare sulla sua superficie quanto vi dirò dopo.

Su questa base sagomata, ho saldato delle linguette navali (sono quelle del sacchetto delle cerniere per i timoni) alle quali ho unito, per saldatura, delle boccole di ottone.

In queste boccole ho inserito l’alberino di ottone pieno (dopo aver calettato la ruota dentata originale d’ottone e, un piccolo volano).

Ho cambiato inoltre anche il motore originale usandone uno di quelli dell’Ennegozio forniti da Marco Carugati, che consente una velocità estremamente bassa e che ha come tutti i motorini da lettore cd & co., già di suo, un leggero effetto volano ed una notevole potenza. Nelle foto seguenti potete osservare alcuni dei miei cassettini con motori e minuterie varie; da notare che molti dei pezzi che uso nelle mie elaborazioni sono spesso recuperate da apparecchi riproduttori audio/video. Incredibile la quantità di viti, microcuscinetti, linguette, motorini di ogni genere e grandezza che si possono recuperare.

Il motore è stato collegato all’alberino d’ottone che porta il movimento alla ruota dentata, tramite un tubicino siliconico (recuperato da un cavo di cuffie auricolari).

Come si può vedere, la trasmissione rimane sostanzialmente la solita, solo che, con questi pochi accorgimenti, otteniamo:

  • una grandissima forza di trazione;
  • maggiore silenziosità;
  • un maggior peso del modello;
  • un funzionamento ineccepibile anche sui deviatoi lunghi e con il cuore isolato;
  • un ottimo minimo.

Il prossimo passo sarà quello di appesantire tutta la zona sul carrello centrale, che è quello motore, in modo da concentrare lì la maggior parte del peso e consentendogli così maggiore aderenza.

Per fare questo ho usato delle barrette di stagno sagomate e limate, appiattite con il martello. Si trovano nelle ferramenta e servono per saldare i tubi di rame degli impianti idraulici.

Ho creato così un “sarcofago” che sovrasta la parte di trasmissione e lascia intravedere il motore.

Anche la cassa è stata appesantita nella zona degli avancorpi sempre con degli spezzoni delle solite barrette.

Esaurita la fase meccanica, pensiamo un po’ all’estetica.

Inizialmente avevo pensato di sostituire i pantografi di cui era dotato il modello in origine con quelli della E.626 di Mario Malinverno, ma essendo la E.626 Tibidabo più abbondante nelle misure, l’effetto non era dei migliori.

Per non snaturare troppo il modello, quindi, ho scelto un pantografo abbondante anch’esso (Sommerfeldt), in maniera da non alterare troppo le proporzioni.

Ho dotato comunque i pantografi di piccoli isolatori, autocostruiti con guaina di filo elettrico bianco, affettato. Queste piccole “fettine” di guaina sono state sovrapposte e infilate su una sezione di filo di ottone rigido.

Per chi lo volesse, si possono sostituire facilmente anche i respingenti, usando quelli di MS ad esempio, che hanno lo stesso attacco, e possono essere incollati con bicomponente, che consente un allineamento perfetto grazie ai suoi tempi di incollaggio non eccessivamente brevi.

Bene, la nostra elaborazione è terminata, e il nostro locomotore, storico sì ma ben funzionante per un uso intensivo da plastico, è pronto per prendere servizio.